Limiti della politica e diritto di voto. Non perdiamo l’appuntamento con le scelte.

All’alba di un voto, e segnatamente del voto regionale in Umbria come in Emilia Romagna, sono in molti ad avvertire la nausea della partecipazione, cioè quel senso di scoramento che può avvolgere l’elettore medio al cospetto di altrui nefandezze, quando tutto sembra concorrere a rendere inutile la positiva aspirazione collettiva al bene comune.

Siamo figli delle stelle ma abitiamo la terra. E in essa conviviamo con altri esseri umani, con i quali – ci piaccia o meno – abbiamo in comune la necessità di un dialogo finalizzato al progresso. Ecco perché frequentiamo la politica, cioè quella materia, o meglio quella condizione, che ci illude di poter concorrere al meglio. Poi però ne diveniamo interpreti e andiamo a inquinarla con le altre caratteristiche tipiche dell’umanità: dalla superbia, quando va bene, alla bramosia di denaro o di potere, quando a scendere in campo sono gli istinti peggiori. E così all’alba di un voto, e segnatamente del voto regionale in Umbria come in Emilia Romagna, sono in molti ad avvertire la nausea della partecipazione, cioè quel senso di scoramento che può avvolgere l’elettore medio al cospetto di altrui nefandezze, quando tutto sembra concorrere a rendere inutile la positiva aspirazione collettiva al bene comune.

Viviamo immersi in una politica del tutto diversa da quella dei nostri padri. Perché diversi sono gli uomini e le donne che la interpretano. Ci pervade il dubbio di averla affidata nel frattempo ai professionisti dell’incarico altolocato, agli impiegati dello scranno, agli arrampicatori sociali, a gente che spera di poter acquisire proprio in un simile ambito, attraverso cariche e prebende, quella credibilità che non ha saputo ottenere nella vita civile. E questo tarlo, tipico dell’attuale società fluida, ci assilla fino a farci credere che gli altri, tutti gli altri, possano fare a meno del nostro apporto ideale alla società, del nostro contributo allo sforzo generale, della posa del nostro modesto tassello di mosaico destinato all’edificazione di un mondo migliore. In un terreno marcio non sarà certo il mio seme buono a far germogliare una nuova speranza. Oppure, la mia serietà non merita di solcare la stessa strada di chi la impiegherebbe soltanto a titolo personale e per scopi di mera utilità propria, nascondendola sotto il falso vessillo del bene comune.

Eppure è vero il contrario. Se il gioco si fa duro io non posso non giocare, poiché in tale circostanza affiderei le sorti della Casa umana, che è anche la mia Casa, a un amministratore scelto dal fato o, piuttosto, da una massa inetta e parziale, e non già da altre personalità accorte e sinceramente preoccupate del futuro dell’uomo.

Posso non comprendere l’assurda e perdurante banalità della divisione del mondo in Destra e Sinistra, posso scoprire ogni giorno i limiti di chi governa e di chi si oppone, posso cambiar canale al cospetto di talk show nei quali la politica appare come una sanguinaria corrida, posso finanche vagheggiare altre forme di governo valutando al peggio le manchevolezze della nostra zoppicante democrazia. Ma non potrò mai credere che il mondo, nell’intento di darsi una qualche regolata, non abbia bisogno di me, delle mie speranze, dei miei sentimenti, delle mie aspirazioni e dunque del mio giudizio. E quindi del mio voto. Perché la migliore politica possibile sono io che partecipo concretamente ad essa. Perché il pensiero di un individuo – è scritto nella Storia dell’Uomo – possiede la forza necessaria a cambiare il mondo.

Ecco perché il nostro voto non può e non deve mancare. Perché siamo uomini e viviamo la terra, anzi la interpretiamo ogni giorno. Perché odiamo metterci in disparte quando batte l’ora delle scelte. Perché ogni nostro giudizio è, ad ogni minuto della nostra esistenza, un giudizio politico. Perché siamo divisi, la pensiamo in modo opposto ma non possiamo non confrontarci. Perché poi ci contiamo e ognuno vale per uno e al contempo vale per tutti. E’ il nostro mondo, è adesso. Non perdiamo la coincidenza con la Storia.

Roberto Conticelli

ha lavorato per la Nazione di Firenze in Umbria e in Toscana ed è stato presidente dell’Ordine dei Giornalisti dell’Umbria. Insegna alla Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia ed ha conseguito riconoscimenti giornalistici di carattere nazionale

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