Sei aziende su dieci non hanno ancora definito un piano che riguardi la valorizzazione della diversità e due su dieci non pensano che sia importante farlo, secondo una ricerca “Future of Work”. (Cit. Il sole 24 ore, 2023).
In un precedente articolo (lo trovi qui https://frequenzafuturo.it/diversita-ostacolo-o-ricchezza/ ) ho introdotto il concetto di “diversità” e il dubbio se fosse una opportunità o uno ostacolo. Ora, più nello specifico, vediamo se è vero che c’è una grande sensibilità a questa tematica in termini percettivi, in termini fattivi si è ancora lontani.
Quello di “Diversity” è un concetto ampio che riguarda non una sola tipologia di persone, ma ogni gruppo sociale, con proprie caratteristiche e differenze peculiari.
Sono almeno otto le caratteristiche personali capaci di generare diversità:
- Etnia, intesa come caratteristiche fenotipiche
- Appartenenza culturale
- Identità di genere, in un’accezione più che binaria
- Orientamento sessuale
- Abilità fisiche e mentali
- Età
- Religione
- Ruolo aziendale
In azienda, il compito del Diversity Manager (questo il nome di colui che deve gestire e valorizzare le differenze tra lavoratori e generare inclusione) è promuovere politiche rivolte all’inclusione, praticate per valorizzare le caratteristiche di ciascun lavoratore, favorire l’integrazione e utilizzare la diversità come elemento strategico per il business dell’azienda.
Cosa succede se a queste dimensioni si intreccia la teoria delle intelligenze multiple di H. Gardner?
Secondo Gardner, ogni persona è dotata di almeno nove tipi di intelligenza ovvero, è intelligente in almeno nove modi diversi. Ciò significa che alcuni di noi possiedono livelli molto alti in tutte o quasi tutte le intelligenze, mentre altri hanno sviluppato in modo più evidente solo alcune di esse.
Quindi, vi immaginate cosa significa far lavorare le persone, agendo non solo sui profili attitudinali ma considerando anche le specifiche intelligenze cognitive?
Questo aspetto, già si studia in ambito educativo, nel campo scolastico e nella psicologia dell’apprendimento. . Cosa accadrebbe se fosse trasferito nel mondo del lavoro?
Aumenterebbero sicuramente le prestazioni, la soddisfazione e il coinvolgimento lavorativo e, dunque, il senso di appartenenza che facilita l’inclusione.
Anche l’“inclusione” è una parola molto quotata. Citando Daniel Juday: “La diversità è essere invitati a una festa, l’inclusione è far parte del comitato organizzativo”. Cos’è, quindi, l’inclusione? È, intanto, un concetto fortemente legato al clima organizzativo ed è una materia il cui obiettivo è capire come modificare le condizioni di lavoro, affinché chi partecipa all’organizzazione si senta più motivato, più facente parte del gruppo, valorizzato, apprezzato nella sua interezza. Come si può pensare di includere se poi non si parte dalle persone e se non si rispetta la differenza come ricchezza?
Davvero diventa difficile. Bisogna pensare a piani formativi nuovi, che creino intorno al valore della diversità, il fulcro di perturbazione formativa. Solo così si crea quello spazio per accogliere il nuovo, il diverso.
Emanuela Bisogni
Psicologa e Psicoterapeuta