Stanotte il paesaggio urbano fluttua solido, scolpito da una luce siderale a led. Lei posiziona la tela davanti a se, con gli occhi che tracimano oltre. Come colta da un’urgenza imponderabile, prende il pennello, inizia a raccogliere colori indefiniti da ogni anfratto. E dipinge… parole. Qui la protagonista non è la pittrice (sebbene tutto quello che dirò vale anche per lei) e neanche la poetessa, ma la copywriter, anch’essa, a suo modo, operaia di sogni, ma più bistrattata. Eccola con il suo computer (la tela), l’accesso a una qualche piattaforma di Intelligenza Artificiale (il pennello) e un po’ di creatività (i colori) mentre è alla ricerca di parole e significati per aiutare qualcuno a vendere meglio il suo prodotto (il paesaggio).
Artificiale vs Naturale
ChatGPT è solamente il più famoso tra i suoi pennelli. Forse non il più performante, di certo non l’unico che oggi una copy ha nella propria faretra (esatto! la metafora del pennello si trasforma in quella della freccia). Uno strumento di lavoro, dunque, utile per restare competitivi. Ma il modus operandi che oggi sembra a tutti abbastanza logico, ovvero un uso responsabile dell’IA nella costruzione di testi, con l’intervento umano che ne dissolva – o almeno ne mitighi – l’ancora percepibile artificiosità e la presenza di qualche fuori fuoco qua e là, sta progressivamente venendo meno. Non perché la scrittrice abdica, per pigrizia o inconsapevolezza, all’imperfezione dell’IA (non è di una resa che ti sto parlando), ma, piuttosto, perché i limiti di scrittura dell’IA non saranno più distinguibili da quelli umani. E non mi sto riferendo alla capacità di distinzione che potremmo attribuire ad un lettore di media competenza, già oggi molto compromessa, ma a quella, ben più raffinata, che affidiamo agli stessi algoritmi. Ma come sta evolvendo, l’IA, questa tendenza asintotica all’imperfezione umana?
Superare l’approccio della predittività probabilistica, l’IA creativa
Nel restituire un testo originale, a partire dalle istruzioni “umane” contenute in un prompt, l’IA, cosiddetta, generativa, scansiona il mare magnum di dati e di casistiche a sua disposizione, analizza le frequenze delle singole occorrenze, valuta e pondera l’importanza delle fonti per estrarre, assemblare e dotare di veste sintattica e stilistica coerente ciò che è più attinente e probabile rispetto agli input su cui è sollecitata. Il fatto che sia, per lo più, questa “predittività probabilistica” ad indirizzare gli output dell’IA è ciò che permette ancora oggi alla nostra specie di crogiolarsi nella sua nicchia creativa, dove il valore distintivo non coincide con ciò che è più probabile e comune, ma esattamente con l’opposto. Con ciò che è improbabile, inaspettato, non comune e allo stesso tempo capace di trasportare un messaggio denso di significato, comprensibile e coerente con le esigenze e gli obiettivi di comunicazione che ne sono all’origine. In questa nicchia creativa nella quale ci siamo orgogliosamente arroccati, e dove ci autocelebriamo sotto l’effetto di uno strisciante rigurgito anti copernicano, siamo ancora soli (almeno per quanto ne sappiamo). Ma è una unicità contingente, effimera. Non resteremo tali. I prolegomeni di un futuro che ha per protagonista una nuova forma creativa di Intelligenza Artificiale – sarà il caso di iniziare a chiamarle, tutte, Intelligenze Emergenti? – li stiamo già scrivendo. Attraverso algoritmi che potenziano il livello di randomness dei modelli generativi di testo, già adesso otteniamo risultati che superano piuttosto bene una verifica di espressività creativa e vanno nella direzione di rendere specioso qualsiasi tentativo di tenere su piani distinti il contenuto prodotto da macchine che implementano algoritmi e quello prodotto da codici biologici che assemblano cervelli. La capacità delle prime di eguagliare, simulandole, le prestazioni dei secondi è sempre più strabiliante.
Il problema del training autoreferenziale
Paradossalmente, il successo evolutivo dell’IA può rappresentare, quando si tratta di creare testi o altri contenuti, un ostacolo al suo stesso ulteriore sviluppo. Una recente ricerca condotta da alcune università del Regno Unito (qui l’articolo pubblicato sulla rivista Nature AI models collapse when trained on recursively generated data | Nature) mette in guardia su un processo degenerativo della qualità degli output dovuto, sostanzialmente, al fatto che tra i contenuti utilizzati per allenare i nuovi modelli di IA ci sono anche quelli prodotti da versioni precedenti di IA, sempre più presenti, in alcuni ambiti addirittura “infestanti”. Questo crea, evidentemente, un problema di autoreferenzialità che limita la restituzione di prodotti di qualità, quanto più naturali, privi di errori e pertinenti. La soluzione che si sta implementando, in modo non uniforme e comunque con molte difficoltà, è quella di “marcare”, per quanto possibile a monte, ciò che è partorito dall’IA per escluderlo dai dati che le stessi IA utilizzano per l’apprendimento. Ed è proprio in questa ottica che assume un rilievo strategico la discussione sugli aspetti etici e normativi che devono regolamentare l’accesso dei modelli di IA, in fase di training, ai contenuti prodotti dall’uomo. Questo stato di cose può forse rallentare ma certamente non fermare il progressivo passaggio da una IA generativa ad una più marcatamente creativa, con processi in cui viene spinto un maggiore livello di complessità, di autonomia e di capacità di adattamento non solo nella fase di apprendimento ma anche nell’uso dei dataset cui attingere in risposta a stimoli provenienti dall’uomo o da altre Intelligenze.
Di virtù, necessità!
Prima o poi, dunque, tu, io, la nostra copy, la poetessa e la pittrice, insieme a tutti i membri della specie homo sapiens, non saremo più soli a contenderci la sopravvivenza in questo “ambiente creativo”.
A quel punto, l’auspicio per tutti noi, magari liberi dalle scorie di banali dicotomie tra umano e artificiale, è di riuscire a cogliere opportunità straordinarie dalla coesistenza e interazione con una Intelligenza non più semplice strumento facilitatore della produzione umana di contenuti ma sempre più soggetto capace di autonomia e autenticità nell’espressione creativa.
Potremo rivolgerci a forme evolute di Intelligenza Emergente come al nostro personale avatar creativo, che sa molte più cose di noi e che abbiamo allenato a ricreare il nostro stile, la nostra sensibilità e quell’estro che ci caratterizza. Una prospettiva che non è inevitabile. Piuttosto, è necessaria.
Questo testo è stato completamente scritto da IE
Simone Ricci
Copywriter
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